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Il potere del debranding

Il termine debranding indica il privare un prodotto del proprio marchio o logo. L’obiettivo di questa operazione di marketing non è sempre lo stesso: una casa automobilistica può rinunciare al marchio in favore di un target diverso da quello con cui ha raggiunto il successo, oppure una multinazionale può sostituire il proprio nome con quello degli acquirenti. Questa operazione è molto interessante perché ha lo scopo di rendere un’azienda conosciuta in tutto il mondo parte della vita del suo acquirente, ma anche il potere di rimbalzare in tutti i social network con lo sharing selvaggio. Non a caso, la pagina Facebook di una nota compagnia internazionale è cresciuta di più dell’800% durante una campagna di questo genere.

Un altro caso di debranding riguarda l’Australia, in cui dal 1° dicembre 2012 qualsiasi forma di branding nei pacchetti di sigarette quali logo, colori, grafiche o messaggi promozionali sono stati banditi per scoraggiarne il consumo.
Non solo, tutti i pacchetti di sigarette dei vari marchi sono stati sostituiti da pacchetti aventi sfondo standard marrone scuro (il colore meno attrattivo in assoluto), immagini che mostrano le crude conseguenze derivanti dal fumo ed avvertenze sui suoi effetti. L’unico segno di riconoscimento fra una marca e l’altra è il nome, posto in piccolo e con uguale font per tutti.


Questo tipo di debranding ha avuto un importante impatto sui consumi di tabacchi: togliendo qualsiasi logo o segno di marketing tutti i prodotti sono uguali, e ciò ha portato tantissimi fumatori ad affermare che, con i nuovi pacchetti “sbrandizzati”, essi trovano le sigarette di qualità inferiore rispetto ad un anno fa. Inoltre, molti adolescenti hanno affermato che i nuovi pacchetti di sigarette li hanno fatti desistere dal fumare.

Il debranding sta quindi assumendo un importantissimo ruolo nel marketing, lo stesso che il branding ha avuto quando è apparso. È capace di attrarci o di farci allontanare da un prodotto, ma bisogna fare molta attenzione al modo in cui lo si usa: una campagna di debranding impostata male potrebbe infatti avere il risultato opposto rispetto a quello sperato.